Le donne eoliane e l’emigrazione
“Un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via. Un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra c’è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti”.
Cesare Pavese, nel suo capolavoro La luna e i falò, sintetizza con queste parole il mistero della terra madre dalla quale si deve o si vuole andare via ma alla quale, comunque, si deve fare ritorno anche solo con un sogno, una fantasia, un ricordo. Desideriamo andare via, trovare fortuna, ricchezza, benessere economico in un “altrove” che non ha nessuna garanzia in sé, ma ci pare essere l’unico porto di salvezza e speranza, un luogo migliore della terra che lasciamo, quasi come a gridare che il nostro posto di origine sia maledetto. L’unica maledizione di quelle terre che si lasciano cullare e smussare dalla potenza, ora lieve, ora grave, delle onde è quella di richiamare chiunque se ne allontani. L’epoca delle Isole Eolie in bianco e nero, l’epoca durante la quale le donne restavano le uniche abitanti delle isole, l’epoca del pane fatto una volta alla settimana ed i fornai, solo per questo, avevano trovato la propria America con quest’attività tanto utile quanto redditizia ci ricorda, con tono nostalgico e tonalità malinconiche, il periodo dei grandi flussi migratori verso altri continenti. Le Isole Eolie erano terre selvagge, terre nelle quali non si pretendeva che la natura si adattasse all’uomo, si viveva con ciò che la terra ed il mare avevano da offrire.
Le sette sorelle per molti anni sono state dei veri e propri ginecei, gli uomini partivano nel lontano “altrove” per poi tornare e forse restare o ripartire con i propri affetti. Le donne diventavano lupi di mare, contadini, pescatori, esperte conoscitrici dei segreti delle isole. Le Isole Eolie al femminile negli anni di fine Ottocento, primi Novecento, raccontano una storia fatta di quotidianità semplici, fatte solo dell’essenziale.
Una storia difficile, quella delle emigrazioni, una storia che, purtroppo, sembra ripetersi anche in età contemporanea, seppur in modo diverso. La bellezza però ha sempre fatto da padrona per queste sette meraviglie, al punto da considerare le Eolie luoghi dai quali non voler andare più via. Sono un incanto, ma si sa che non tutti sono o sarebbero disposti a vivere con l’essenziale. Questa breve nostalgica parentesi la chiudiamo allo stesso modo della sua apertura, citando Pavese: Chi può dire di che carne sono fatto? Ho girato abbastanza il mondo da sapere che tutte le carni sono buone e si equivalgono, ma è per questo che uno si stanca e cerca di mettere radici, di farsi terra e paese, perché la sua carne valga e duri qualcosa di più che un comune giro di stagione”.
Le Bianche Eolie della Panaria Film (1947)