Storia delle emigrazioni

Non si puó fare a meno del mare
Devi nascere nelle terre da esso circondate per capirne il legame
Non si puó fare a meno della sua ribellione e del suo quietarsi subito dopo… chi ci nasce eredita la stessa visceralità…le sue stesse rivoluzioni
Nel mare, tra le sue abissali profondità, da spettatrice, seduta di fronte ad esso piccola di fronte alla sua maestà ho sempre saputo fare ordine
La mia terra è maledetta non tanto per la miseria in cui versa…è maledetta perchè se ci nasci ti lega cosi fortemente da non consentirti pace in ogni altro luogo che non sia lei…

G. D.

 

Questa è solo una breve formula poetata per cercare di spiegare cosa voglia dire essere legati alla propria terra, sentire forte il valore delle radici e sentirsi a casa in un solo luogo nel mondo.

La storia delle emigrazioni è un campo molto battuto da storici, etnografi e antropologi. L’interesse maggiore è sorto negli Stat Uniti d’America a partire dagli anni sessanta del novecento, quando si è avvertita l’esigenza di ricostruire la storia di uomini e donne “adottati” da un’altra terra, un’altra cultura. Uomini e donne partiti alla ricerca della “fortuna”. Se pensiamo alla lontana colonizzazione greca di età arcaica le dinamiche delle emigrazioni erano pressappoco simili a quelle che hanno spinto i nostri “padri” ad andare oltre oceano, a portare nelle terre “potenti economicamente” una ricchezza che aveva poco a che fare con l’economia o i soldi. I Greci di età arcaica emigravano più o meno per le stesse ragioni, con la differenza che la ricchezza l’hanno cercata e trovata nel profondo sud, quello dal quale gli italiani scappavano per “mettere le proprie radici” altrove. La sorpresa storica si è avuta quando nel 580 a. C. Pentatlo occupò le Sette Sorelle, le Isole Eolie, perle del mare, trovando in esse una ricchezza che superava la mera materialità dell’economia. Il manipolo di Cnidii guidato da Pentatlo rimase a lungo ad abitare le meravigliose Isole Eolie. Giochi strani dela sorte, giochi incomprensibili dell’astuzia storica. Quelle che un tempo furono meta ambita dove emigrare, ad un certo punto sono diventate terre dalle quali andar via. E si andava via con poco alle spalle, sapendo che non si aveva molto da perdee, tutt’al più qualche speranza in più da coltivare una volta arrivati nelle “Americhe”. Certo, si partiva perché non si aveva molto da perdere, apparentemente. In realtà chi parte, chi va via si lascia dietro sempre un “mondo”, il proprio. Le proprie radici, le proprie origini, la propria identità.

Proprio l’identità degli emigrati è stata oggetto di molti studi. Si credeva che il processo migratorio avesse come conseguenza logica, al momento dell’arrivo nella nuova patria, la perdita della propria identità culturale. Le storie degli emigrati, invece, confermano che l’identità culturale si rafforzava al punto tale da ricreare, in piccolo, una porzione del proprio paese di origine (pensiamo ai tanti quartieri Little Italy). Gli emigrati di prima generazione hanno portato in quelli che rappresentavano i paesi della speranza una ricchezza fatta di musica popolare, culinaria, usi e costumi diversi. Hanno portato dentro la propria valigia di cartone qualche sogno e tutto il proprio patrimonio culturale. Hanno messo le proprie radici “nell’altrove” senza perdere il senso-significato del “da dove”. I quartieri degli emigrati diventavano luoghi dove parlare la propria lingua madre, dove festeggiare il santo patrono del proprio paese d’origine, dove si cantava e ballava la tipicità del proprio essere “isolani”. Di questo si tratta, degli isolani delle Eolie sparsi in tutto il mondo. Degli emigrati di prima generazione che hanno tramandato ai propri figli quel senso nostalgico per una terra che magari neanche hanno visto, ma era ed è la terra dei propri padri, era ed è la terra dell’origine della propria storia familiare, della propria identità, della cultura con la quale sono stati educati.

Riportiamo di seguito un intervento del Prof. Giulio Santoro nell’incontro culturale per la presentazione del libro di Susanna Tesoriero “Emigrazione eoliana in Argentina” avvenuto presso la Biblioteca Comunale di Malfa : “Dopo le esposizioni del senatore Nino Randazzo e del prof. Marcello Saija, profondi conoscitori della storia e dell’ambiente antropico eoliano, nonché dell’intervento del Sindaco dr. Salvatore Longhitano e delle note introduttive del giornalista e addetto culturale Antonio Brundu (conduttore dell’incontro), desidero portare il mio contributo sul fenomeno dell’emigrazione italiana ed eoliana. Per altro, lusingato dall’amabile invito rivolto dalla dott.ssa Susanna Tesoriero, vorrei esporre qualche considerazione personale su quanto ho ascoltato circa l’aspetto a mio avviso più significativo dell’argomento, quello dell’interscambio di visite fra gli eredi delle comunità eoliane radicate da diverse generazioni in varie località d’oltreoceano – soprattutto in Nord America ed in Australia, ma in misura significativa anche in vari paesi del Sud America – ed i residenti eoliani che, in direzione inversa, ancora nei due decenni seguenti la fine del secondo conflitto mondiale – e quindi in epoca che possiamo considerare contemporanea – sono trasmigrati in gruppi consistenti verso siti relativamente “nuovi” – quali il Paraguay – oltre che altri già noti (come Argentina, Canada, Nuova Zelanda ed altri). Secondo la mia impressione (ovviamente di “impeto”, e non frutto di una meditata riflessione) le due direzioni di questa sorta di reciprocità di itinerari rappresentano una situazione solo apparentemente contraddittoria: in quanto gli uni e gli altri in modo più o meno inconsapevole sottintendono l’esigenza di salvaguardare i rapporti con le proprie radici – che sono etniche ancor prima che familiari – e che di conseguenza esprimono una valenza culturale di indubbio spessore antropologico. In tal senso le coppie di giovani eredi di vecchi emigrati che hanno sentito l’esigenza di pronunciare il fatidico sì delle nozze nel luogo natìo, secondo quanto ci ha fatto sapere il Sindaco di Malfa Salvatore Longhitano, affrontando un viaggio indaginoso, altro non rappresentano se non l’altra faccia della stessa medaglia, coniata all’insegna del bisogno insopprimibile della conservazione della propria identità culturale da parte di soggetti già predisposti, per atavica esperienza, alla difesa dei valori della propria cultura originaria, e che in occasioni e circostanze differenti esprimono questa loro incontenibile, quanto inconsapevole esigenza. Questi novelli sposi, infatti, sono gli eredi , da una o più generazioni, di quei vecchi emigrati che, dopo essere sbarcati in vari siti d’oltre oceano, si sono stretti in comunità che, coagulando i singoli familiari in più ampi raggruppamenti di conterranei, hanno avvertito, nell’inevitabile contatto con ambienti alieni ed abitudini di vita del tutto differenti, una erosione progressiva della propria identità etnica e culturale, dalla lingua alla religione, dalla istituzione della famiglia ai rapporti di comunicazione interpersonale, sino al rischio di perdere il riferimento a quei valori-guida che per millenni ne avevano contraddistinto le caratteristiche del DNA della propria etnia. In proposito appare esemplare l’episodio riferito dal prof. Marcello Saija che, in un suo recentissimo viaggio alla ricerca dei nuclei dei vari gruppi di emigrati eoliani dispersi nei vari continenti, ha incontrato, in una plaga circoscritta nell’interno del Paraguay, un nucleo di vecchi emigrati dell’isola di Salina, che in modo emblematicamente singolare interloquivano nel dialetto originario dei propri avi, aspettandosi un eguale stile di colloquio da parte dell’intraprendente studioso! Mi sia consentita un’altra considerazione che emerge dai contenuti delle esposizioni dei due relatori e che mi sembra meritevole della massima attenzione: 1) Il senatore Randazzo ha sottolineato l’importanza di sostenere, con ogni mezzo, qualsiasi iniziativa valida a rafforzare i rapporti fra i nostri connazionali all’estero e la madrepatria, con le caratteristiche proprie di ogni paese di provenienza. In questo campo sono da ricondurre sia la recente innovazione del voto per i cittadini residenti all’estero (che rinforza i legami con la madrepatria e costituisce una occasione utile, per quelli che si recano a votare in Italia, per rivedere i vecchi siti delle loro origini); sia per la encomiabile attività dei COM.IT.ES. (Comitati di italiani all’estero), in diretto collegamento con le nostre rappresentanze diplomatiche e che, personalmente, ho avuto modo di apprezzare in una mia recente visita all’agguerrito raggruppamento italiano di Bordeaux, in occasione della settimana di cultura siciliana del 1996; 2) In riferimento alla dotta ed articolata relazione del prof. Saija, mi ha colpito un particolare che ignoravo del tutto, circa i diversi motivi della emigrazione delle comunità eoliane all’estero e, soprattutto, in Sud America ed in Oceania. Non sempre si trattava di disperati alla ricerca di una qualsiasi sistemazione, per la correlata necessità di sopravvivenza, come era accaduto per le originarie comunità di pescatori e di coltivatori; ma molto spesso si trattava di un flusso legato alla prospettiva di un allettante miglioramento economico, in ragione della necessità, in parecchi dei siti di destinazione, di specialisti ed imprenditori richiamati da possibilità di lavoro non incerto ed improvvisato, ma già sperimentato dai primi emigrati, autentici pionieri per un sicuro impiego, in mansioni meno gravose delle cave di pomice o delle coltivazioni di uva passa o di capperi dalle incerte fortune stagionali. Si spiegano in tal modo, secondo quanto possiamo ammirare nei documenti esposti nel suggestivo, interessantissimo Museo Eoliano dell’Emigrazione adiacente alla Biblioteca Comunale, i segni degli incredibili livelli di opulenza, organizzazione sociale e specializzazione nei più svariati settori della imprenditoria raggiunti da quelle comunità sin dagli ultimi anni del secolo scorso (ed in particolare dopo il 1898, data significativa per la concomitante devastazione della economia agricola eoliana per via della fillossera). Ma tutto questo pone un interrogativo inquietante: abbiamo seguito tutti, in questa indimenticabile serata, le vicende dei nostri conterranei eoliani migrati ed ormai assimilati in nuove realtà ambientali, sociali ed economiche. Ma nei luoghi di provenienza, ahimè, ormai non è rimasto quasi più nessuno. E questa realtà si tocca con mano in innumerevoli centri della Sicilia (basti pensare a S. Fratello) e della Calabria (Cittanova, Cutro), oltre, ovviamente che nelle Isole Eolie, Stromboli, Filicudi e Salina in testa. Abbiamo visto, nella carrellata dei vari interventi, che i segni preziosi della identità culturale di queste comunità oggi si possono riscontrare, paradossalmente, soltanto nei gruppi emigrati oltre oceano. Cosa possiamo e cosa dobbiamo fare tutti noi per salvaguardare questi valori impareggiabili, ma a rischio di estinzione, delle nostre comunità eoliane? Questo rimane il vero nodo di un problema sulla cui importanza richiama l’attenzione la magnifica raccolta di memorie dei vecchi emigrati eoliani elaborata dalla dott.ssa Tesoriero e le reiterate citazioni su quel personaggio eccezionale, antesignano della più straordinaria avventura della chirurgia vascolare, il bypass aorto/coronario, che è stato il compianto, indimenticabile Prof. Renè Favaloro, emigrato eoliano proveniente da Val di Chiesa, situata nella natìa isola di Salina”.

 

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